Ramiera

Da quanto tempo è là, l'antica fonderia ad acqua, accanto al vecchio mulino ormai in disuso? Chissà. Le origini delle sue radici si smarriscono nella memoria di chi è rimasto, unico erede e tenace prosecutore di una tradizione che langue: "Mio padre...mio nonno...mio bisnonno...". Chissà.
Gioacchino Carpinelli ha cominciato a fare il ramaio all'età di 18 anni. Il padre, Pasquale, aveva allora due fonderie: una a Prepezzano e l'altra - questa - a Giffoni Valle Piana.

Nei suoi progetti i due figli maschi avrebbero continuato l'attività dopo la sua morte, ciascuno con la propria azienda.
Ma accade poi spesso, che quando il padre muore, i figli decidano di testa propria. Così fu anche per i Carpinelli. Quando il vechio Pasquale se ne andò, soltanto il più giovane dei due ragazzi, Gioacchino, volle proseguire l'attività paterna, a Giff oni; la fonderia di Prepezzano, invece, chiuse i battenti.


Gioacchino Carpinelli si trovò così calato di colpo nelle vesti di "capo" in una azienda in cui le necessità organizzative e le capacità gestionali erano -e sono - così complesse da creare imbarazzi e disorientamento a chiunque altro si fosse trovato all'improvviso di fronte a questa responsabilità. Ma il giovane non si perse d'animo: proveniva dalla gavetta e conosceva ogni più piccola esigenza, ogni bullone, ogni vite, ogni passaggio del delicato ingranaggio dal quale, alla fine, venivano fuori rossi paiuoli di rame, ultima fase di un lungo processo lavorativo.
Un procedimento nel quale ancora oggi - e questa forse ci appare la cosa più straordinaria, coinvolti e travolti, come siamo, dalle "tecnologie avanzate" della "società industriale" -tutto è affidato, come cinquanta anni fa, alla forza della natura. Una natura che venne studiata e utilizzata secondo le sue tendenze e che, per questo, divenne amica dell'uomo; una natura da cui si riesce a produrre, pur con metodi primordiali, energia sufficiente a far liquefare un metallo, il rame, la cui temperatura di fusione supera i 1200 gradi. Come accade questo?


Giffoni Valle Piana, comune della provincia di Salerno, non supera i trecento metri dal livello del mare; è circondato dai monti che delimitano la valle dell'Irno. Quello che lo sovrasta più da vicino è il monte Acellica, 1700 metri circa di altezza, dal quele scende il fiume Picentino. Il segreto è tutto quì.Nella forza di questo corso d'acqua che attraversa anche Giffoni. Il suo notevole deflusso perenne è stato convogliato e incalanato fino ad arrivare ad una chiusa che alimentava il mulino.

A qu esto punto, il salto finale: l'acqua batte su una grande pietra che và ad azionare un gigantesco mantice. L'aria prodotta dal mantice si immette in un tubo che attraversa le pareti della fonderia e sbuca sotto la grande fornace su cui sono stati collocati i mucchi di carbone accesi, per la fusione del metallo. Il fuoco, così alimentato, acquista sempre più forza fino a quando il rame, posto a contatto diretto dei carboni, comincia a liquefare. La prima fase è compiuta. Si tratta ora di forgiare il metallo secondo le forme che si vogliono imprimere. E' di nuovo il Picentino a provvedere.

Enormi quantitativi di acqua vengono raccolti in una grande vasca artificiale per la produzione dell'energia necessaria ai mantici. Ma una parte di questa acqua segue un diverso itinerario. Sempre con il sistema di canali viene immessa in tubi il cui diametro, prima largo, si và sempre più restringendo- Accade così che all'uscita finale dai tubi l'acqua abbia aquistato, anche in questo caso, una potenza straordinaria. E' questo getto violentissimo che va a battere sulle pale di una enorme ruota,esterna alla fonderia, facendola girare. Il movimento della ruota si trasmette, all'interno, ad un asse gigantesco, collegato a due grandi "magli".

I "magli" con un meccanismo che somiglia molto da vicino a quello dei pistoni di un'automobile, cominciano a "battere" su piccoli blocchi del caldo metallo (che intanto, negli stampi, ha assunto una forma di semicupola circolare, piena) e li spianano. Messi uno sull'altro, in pile di sei sette per volta, i blocchi prendono forma concava definitiva. E, da pieni che erano possono arrivare ad avere bordi di non più di 3 millimetri di spessore. Ma non c'è da stupirsi: il peso che si abbatte su di loro, per ogni colpo di maglio, varia intorno a due quintali (1,80 il più piccolo; 2,40 il più grande).

I magli, di legno, risalgono all'epoca della nascita della fonderia. I pentoloni che vengono fuori da questi piccoli blocchi di metallo, possono contenere anche 70/80 litri d'acqua. I loro bordi scabri vengono tagliati con un paio di enormi forbici "a ginocchio"; nel senso che l'operaio addetto a questa operazione deve spingere una delle due forbici col ginocchio.Fin qui la fonderia. Dalla quale esce, comunque un prodotto ancora grezzo che va lucidato e rifinito.

A Giffoni l'unico che fà questo lavoro, è Gregorio Verderese, che ha una piccola bottega in paese. Egli riceve i pezzi grezzi, li riscalda di nuovo, poi, quando acquistato il colore rosso - tipico del rame - gli dà il bagno d'acqua, per una prima pulita, ed infine batte con due martelli - uno di legnio e uno di acciaio - su due pali di ferro infissi a terra. Altro bagno, questa volta negli acidi, per la pulitura definitiva da tutte le scorie e colata di stagno liquido, all'interno stagno steso poi con la stoppa. Il tegame è pronto, lucido e fiammante. Elena Massa

 

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